
Guido Harari – Sguardi Randagi
La vita e l’arte di uno dei più grandi fotografi italiani contemporanei.
A chiunque venga in mente un’immagine iconica di Lou Reed o David Bowie, di Frank Zappa o Kate Bush, o degli italiani Giorgio Gaber, Fabrizio de André, Vasco Rossi e Gianna Nannini, con ogni probabilità sta pensando a una fotografia di Guido Harari. Raccontare attraverso i suoi ritratti, la straordinaria rivoluzione musicale di fine novecento, dalla musica leggera degli anni ’60 alla beat generation, dalla stagione dei cantautori al rock internazionale, dal punk al pop degli anni ’80, passando per le varie esperienze di avanguardia, espandendosi in tutte le espressioni della cultura anche oltre la musica, è la materia viva di questo documentario. Partendo dalla sua casa di Alba, il filo narrativo intreccia la vita del fotografo in un rapporto intimo con i personaggi che ha fotografato. Il viaggio di Guido harari è la traccia intorno a cui si sviluppano aneddoti, immagini inedite, spunti drammaturgici inattesi, legati dalla appassionante avventura umana di un ragazzo che, cominciando a inseguire da semplice fan le tournée dei suoi miti musicali, è diventato poi l’interprete, come ha detto l’amico Lou Reed, del “suono dell’anima di chi viene ritratto”.
Gli ‘sguardi randagi’ di Guido Harari
Lou Reed, David Bowie, Kate Bush, Giorgio Gaber, Fabrizio de André e Gianna Nannini. Questi sono solo alcune delle personalità ritratte da Guido Harari, che ha realizzato alcuni dei più iconici scatti degli artisti del Novecento. Il racconto dei suoi lavori ci permette di rivivere il rivoluzionario clima musicale di fine Novecento, tra la musica leggera degli anni ’60,il cantautorato, il rock, il punk e le molteplici esperienze di avanguardia.
Il documentario, che intreccia la vita di Harari e il rapporto instauratosi con i personaggi che ha fotografato, segue la vita di un ragazzo che, cominciando a seguire i suoi miti musicali con un sogno nel cassetto, è riuscito a interpretare, come suggerito dall’amico Lou Reed, il suono dell’anima di chi viene ritratto.
Guido Harari, tra musica e fotografia
Nato al Cairo, Guido Harari si trasferisce in Italia, più precisamente nel capoluogo lombardo. Proprio a Milano si presentano le prime opportunità per il giovane: dall’intervista a Shel Shapiro dei Rokes, all’incontro con Caterina Caselli e con Giorgio Gaber, Guido riuscirà a farsi conoscere e a ottenere i primi lavori come fotografo e giornalista musicale.
Formatosi da autodidatta, tra gli anni Settanta e Ottanta egli collabora con artisti come Pino Daniele e Gianna Nannini. Esperienza dopo esperienza, Guido Harari matura un metodo di approccio unico. Infatti, prima di fotografare gli artisti, egli vuole comprendere e sentire realmente chi ha di fronte a sé. Questa particolare sensibilità e umiltà, che consente al fotografo di prestare reale attenzione all’altro, viene particolarmente apprezzata da chi viene ritratto. Ciò costituisce indubbiamente una qualità che lo renderà così amato e che lo contraddistinguerà per tutta la sua carriera.
A partire dagli anni Novanta, Guido Harari inizia una collaborazione con l’Agenzia Contrasto, in cui si occupa principalmente di ritratti. Questo punto di svolta risulta per lui fondamentale per riuscire ad allontanarsi dall’etichetta riduttiva di “fotografo rock”. Questi sono anche gli anni dei reportage a sfondo sociale, nonché dell’impegno verso alcuni volumi da lui curati.
Negli anni Duemila, invece, si dedica al reportage in Bangladesh, dove non solo realizza alcuni scatti, ma video-documenta la condizione degli abitanti affetti da malformazioni facciali. L’ultimo progetto che lo vede coinvolto è La caverna magica: una mostra itinerante dove immortala persone comuni, prive dei filtri delle celebrità. Ciò gli permetterà di maturare una concezione più profonda del mezzo fotografico.
‘Guido Harari: sguardi randagi’: un incanto che dura anni
Il documentario riesce a sintetizzare il “viaggio fotografico” di Guido Harari, condensando il lavoro di una vita. Attraverso una narrazione personale, gli interventi di diverse personalità internazionali, ma anche l’utilizzo di materiali inediti e la presenza delle fotografie di Guido Harari, l’opera cinematografica rispecchia la sfaccettata figura del fotografo e permette di rivivere gli anni in cui l’artista ha operato. In una certa maniera, possiamo dire che il risultato ottenuto dal regista è paragonabile ad una “mostra” per celebrare ulteriormente i cinquant’anni di carriera del fotografo.
Il regista torinese riesce qui a far emergere il meglio del protagonista del viaggio. Egli si approccia lui in modo simile a quello che Harari utilizza nei confronti dei suoi soggetti: con la massima umiltà, il rispetto e la curiosità di scoprire il mondo interiore di chi ha davanti a sé, svelandolo poi nelle proprie opere.
Concludendo, il film di Daniele Cini evoca costantemente l’incanto di un sogno: quello di un ragazzino che, mediante il lavoro di anni e senza perdere mai la magia dentro di sé, è riuscito a renderlo realtà.