Oh Canada
Bugie e verità, alla fine di una vita incredibile, ma che adesso deve essere raccontata (e smascherata). A farlo è Paul Schrader, figura chiave della New Hollywood, sceneggiatore memorabile di Taxi Driver, artista coraggioso in oltre 50 anni di lavoro, che nel suo nuovo film da regista, riadatta il bestseller di Russell Banks, Foregone, scomparso nel 2023 (a cui lascia la dedica nel finale), e dal titolo Oh, Canada (che in Italia nelle sale uscirà con il titolo I tradimenti), presentato in Concorso al Festival di Cannes 2024.
Al centro c’è la figura del famoso documentarista Leonard Fife (personaggio di finzione, ndr), un americano schierato a sinistra, che da giovane decide di rifugiarsi in Canada, per evitare la chiamata alle armi nella guerra del Vietnam, scappando, “da codardo”, come si sente dire nella pellicola, al proprio destino. Nel nuovo approdo geografico diventa una sorta di eroe nazionale, un icona dietro la macchina da presa, da prendere esempio e da osservare con ammirazione.
Ad interpretarlo, ormai anziano, senza forze, e minato dalla malattia terminale, è un intenso Richard Gere, tornato a collaborare con Schrader a distanza di 44 anni da American Gigolò. Un ritorno imperdibile e l’ennesima scommessa su cui puntare per l’attore di Pretty Woman, Ufficiale e Gentiluomo, Chicago, più che mai votato, nel tempo, e nelle scelte artistiche, ad accettare ruoli atipici, in grado di farcelo apprezzare in altre vesti, sfumature inespresse, fragilità.
Fife, dopo una carriera passata infatti a svelare storie vere, accetta di rilasciare l’ultima intervista, dovrebbe rispondere a 25 domande, rivolte dal suo ex studente Malcolm, affiancato da alcuni allievi, per quella che sulla carta sarà l’ennesima celebrazione, e come, da vero emblema e precursore, ha cambiato il cinema e il linguaggio del documentario.
Su una sedia a rotelle, lucido a tratti, disorientato dai farmaci, è accompagnato dalla moglie Emma (Uma Thurman), pronto a confessare: sa, ora, che è l’occasione per vuotare il sacco, dire come davvero sono andate le cose.
È un momento intimo, profondo, nostalgico, ma di cui si appropria, come un puzzle che lentamente si compone, fra ricordi frammentari, flashback, alternando la memoria a quando era giovane, qui è interpretato da Jacob Elordi (assente a Cannes in quanto impegnato sul nuovo set di Guillermo del Toro, il riadattamento di Frankenstein), segreti tenuti a lungo custodi. L’attimo finale (prima della morte, che giungerà di lì a poco) è un guardarsi però allo specchio, davanti all’obiettivo, per smontare finalmente il suo mito e rivelarsi. Ci sono gli amori, la famiglia, il ritrovamento di un figlio, il lavoro, le ambizioni (di scrittore), il sogno, i rimorsi, i tradimenti, la sofferenza, e quanto abbia significato patirla.
Paul Schrader, 77 anni, e Richard Gere, 74, sembrano ad un certo punto intercettarsi, come se questa storia parlasse in un certo senso anche i loro, del bisogno di dire la verità attraverso la propria arte e lì lasciare traccia, non importa come, quando, in che direzione, a discapito della propria immagine e vissuto, con coraggio, sperimentando, rischiando. (Vogue Italia).